La “perla dello ionio” svela con fierezza le memorie del suo importante passato. I frantoi ipogei, le cisterne di deposito, le sedi storiche dei viceconsolati, fino al Museo civico, sono solo alcuni dei luoghi che testimoniano la storia commerciale di Gallipoli. Una storia che ruota attorno all’oro pugliese, l’olio d’oliva, che da Gallipoli raggiungeva tutti i più importanti porti d’Europa. La città ionica era, fin dal secolo XIV, piazza di esportazione principale del Regno di Napoli e centro pulsante dell’economia dei tempi.Proprio qui giungevano per portare a termine i loro affari i più ricchi e prestigiosi mercanti d’Italia. Ma anche stranieri. Ogni Stato interessato aveva, a Gallipoli, la sua sede. Pietro Maisen, un valtellinese vissuto a Gallipoli, nel 1870, nel suo volume, “Gallipoli e i suoi dintorni”, scrisse che nella città c’erano ben 13 viceconsolati: Austria, Danimarca, Francia, Inghilterra,Impero ottomano, Paesi Bassi, Portogallo, Prussia, Russia, Spagna, Svezia Norvegia Turchia. La nomina a viceconsolato avveniva tramite patenti rilasciate dal Ministro degli Esteri della Nazione interessata convalidate dal Ministro degli Affari Esteri italiano. 

A Gallipoli si stabiliva, il 6 dicembre di ogni anno, la “voce”, cioè il prezzo corrente di mercato. Le olive raccolte nel territorio gallipolino, che allora comprendeva i comuni di Alezio e di Sannicola, venivano macinate nei frantoi ipogei, scavati nella pietra. Nel catasto del 1809-1857, risultavano ben trentacinque frantoi. La mole di lavoro era davvero tanta, a tal punto che le memorie storiche riportano che Papa Gregorio XIII (1502-1585) e Sisto V (1521-1590) diedero l’assoluzione comunitaria dei peccati a quanti erano impegnati nelle operazioni di carico e scarico e quindi impossibilitati all’ascolto della messa la domenica e le altre feste comandate. 

L’olio che partiva dal porto di Gallipoli veniva richiesto non solo per uso alimentare, ma anche per l’illuminazione, per le fabbriche di sapone, per i lanifici. Messo in otri di pelle, dai frantoi veniva portato a spalla sino alle “Pile Regie“ nel porto di Gallipoli. Le pile regie di caricamento erano quattro enormi vasche in pietra leccese, rifatte in marmo nel 1806. Ogni pila aveva una capacità di 11 salme d’olio, pari a 1620,42 litri, e si trovava all’interno di due ambienti coperti in muratura addossati alle pareti di fondazione del ponte di ingresso, prima del ponte levatoio in legno. Per le verifiche delle quantità di olio esportato dal porto di Gallipoli e per la riscossione della relativa tassa di esportazione, vi era addetto un gabelliere regio munito di un’asta di bronzo, opportunamente graduata. 

Sabato 27 Settembre 2014, sulla rampa di discesa al Mercato del Pesce di Gallipoli, proprio a poca distanza dal luogo in cui erano collocate le antiche Pile regie, su iniziativa dell’Associazione Gallipoli Nostra, è stata scoperta una lapide marmorea. Dettata nel 1932 da Ettore Vernole in occasione della Costruzione del primo mercato del pesce e distrutta nel 1943, la lapide è una importantissima testimonianza della storia commerciale di Gallipoli, che si inserisce a pieno titolo nell’itinerario che lega tutte le memorie storiche relative al commercio dell’olio d’oliva.