Il
Salento
,
si sa, è una terra dai mille colori, profumi e tradizioni, ed è roccaforte di
piccoli comuni limitrofi che creano una rete socioculturale eterogenea.

Visitare
ciascuno di questi centri urbani rappresenta un modo autentico e originale di
trascorrere le proprie vacanze in una terra meravigliosa, sferzata dal vento,
baciata dal sole e bagnata da ben due mari.

Tra
le tappe da visitare c’è Soleto: un comune di 5267 abitanti in provincia
di Lecce
.

Parte integrante di quell’isola linguistica di derivazione greca, nota come Grecìa Salentina, il centro urbano di Soleto dista all’incirca 18 km dal capoluogo provinciale ed è equidistante dal mar Ionio e dall’Adriatico. Infatti, tanto Otranto quanto Gallipoli (due importanti cittadine del basso Salento) sono facilmente raggiungibili in mezz’ora di macchina.

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Dall’epoca
messapica ai fasti dell’epoca orsiniana

La
storia di Soleto ha origini antichissime: fu dimora della civiltà messapica
– di cui si hanno testimonianze scritte grazie a vecchie incisioni ritrovate in
una necropoli –  per poi divenire centro
egemone e nevralgico della cultura greco-salentina della Terra
d’Otranto
. Soleto vanta, quindi, una tradizione millenaria che l’ha
reso terra di mezzo tra occidente e oriente.

Per
tutto il corso dell’Alto Medioevo la cultura e la lingua greca, portata dalle popolazioni
bizantine
prima e da quelle balcaniche poi, contaminò usi e costumi degli
abitanti di Soleto tanto da rendere questo comune un importante centro
religioso e culturale di quella particolare area oggi nota come Grecìa
Salentina
.

Tuttavia,
il periodo di maggiore splendore per Soleto risale al XIV-XV secolo in cui
imperiò la casata dei conti Orsini-Del Balzo. In questi anni la signoria
di Raimondello, e a seguire di suo figlio Giovanni Antonio, garantì al comune
anni di ricchezza e prosperità e gli fece guadagnare il prestigioso ruolo di
cittadina principale dell’intera contea. Alla morte di Raimondello
Orsini-Del Balzo
, successe la moglie Maria d’Enghien che, dopo esser
stata Regina di Napoli, decise di rafforzare il proprio potere su Soleto. Nel
1463, con l’esaurirsi della signoria orsiniana, andò progressivamente
esaurendosi anche quell’irripetibile fioritura politica, culturale e artistica
di cui la cittadina aveva goduto.

Un
toponimo incerto

Pensiero
popolare, seppur probabilmente erroneo, è che il nome Soleto sia un derivato
della parola “sole”. Gli studi scientifici supportano però teorie
contrastanti:

-secondo
alcuni il termine si riferisce a “basoleto” (syllithos in greco), una
pietra utilizzata nell’area del centro urbano;

-altri
ricondurrebbero il toponimo a un libro di Plinio il Vecchio in cui il
termine latino “soletum” è usato per indicare un luogo solitario;

-esiste
poi una lettera greco-latina, risalente al 1598, inviata dall’ultimo Arciprete
soletano, in cui, la sua firma, lascerebbe dedurre che l’odierno nome del
comune derivi dal dialetto griko “Sulitu”;

-infine,
nel 2003, è stata ritrovata una mappa antichissima, di epoca messapica,
incisa su un ostrakon, in cui le prime tre lettere identificano il
paese.

Per
le vie del centro di Soleto

Oggigiorno,
è possibile accedere al piccolo comune di Soleto varcando la soglia di porta
San Vito
, ultima testimonianza rimasta intatta della presenza di antiche
mura difensive
. L’impianto urbanistico del centro storico è
tipicamente medievale: le strade, piccole e strette, sono disposte ortogonalmente
a evidenziare la centuriazione del luogo a seguito del dominio romano. Case gentilizie,
e palazzi nobiliari, di gusto rinascimentale, si affacciano lungo queste vie
perpendicolari che formano isole rettangolari in cui iscrizioni, date e stemmi
incisi ricordano gli antichi casati.

Cosa vedere a Soleto? Iniziare un tour alla scoperta di Soleto vuol dire partire da Porta San Vito: unica superstite dei quattro varchi che segnavano l’ingresso alla cinta muraria del paese, si trova nella zona est del borgo.

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Porta San Vito

L’ampiezza della sua base dà un indizio su quello che poteva essere lo spessore delle mura difensive; il suo arco è sormontata dalla statua di una Madonna che regge in mano un sole, simbolo del comune. Si crede che un tempo l’arco fosse sormontato dalla statua di San Vito ma che l’incuria e gli agenti atmosferici l’abbiano poi distrutta. Passeggiando per le viuzze di questo angolo di provincia si raggiunge la Chiesa di Santo Stefano, un simbolo della cultura bizantina in terra soletana.

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Chiesa di Santo Stefano

Risalente
al XIV secolo, fu probabilmente edificata nel 1347 da ignoto e rappresentò un centro
religioso della cultura italo-greca
per tutto il Medioevo.

La facciata, lineare e semplice, è realizzata in pietra leccese e unisce in sé elementi squisitamente gotici e reminiscenze romaniche (come il portale e il rosone). Un piccolo campanile contribuisce a dare slancio all’intero edificio. All’interno della chiesetta si può percepire la pungente atmosfera delle chiese orientali di Bisanzio: le pareti della chiesa sono completamente affrescate in stile bizantino.

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I dipinti, che risalgono a epoche diverse, costituiscono una vera e propria “pinacoteca” in miniatura, seppur segnata dall’incuria del tempo. Tra le rappresentazioni più importanti si riconoscono la Discesa dello Spirito Santo sulla Vergine e gli Apostoli e una rara immagine di Gesù adolescente, simbolo di sapienza divina.

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L’interno
della chiesa è illuminato dalla luce naturale che filtra attraverso il rosone e
le finestre. È un piccolo gioiello incastonato nel cuore della Grecìa Salentina
e

testimonia
l’incontro della cultura occidentale e di quella orientale.

Attraversando il centro storico, dirigendosi verso sud-ovest, si raggiunge a piedi il simbolo di questo borgo: la Guglia di Raimondello

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Questo campanile senza campane, artificio di mera bellezza, completamente restaurato, è monumento Nazionale dal 1875 e rappresenta un capolavoro dell’architettura tardogotica nel Salento. Realizzata a cavallo tra il 1300 e il 1400, accanto alla Collegiata di Santa Maria Assunta, per volere del Principe di Taranto Raimondello Orsini del Balzo, è testimonianza storica del periodo di maggiore splendore per la cittadina.

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La
torre si eleva per 45 metri e si sviluppa su 5 piani che vengono coronati da un
cupolino del XVIII secolo completamente decorato con mattonelle verdi e gialle.

Il primo e il secondo ordine della guglia sono privi di finestre, mentre a partire dal terzo piano ogni lato ospita aperture bifore. Il campanile è un tripudio di intagli arabeschi, capitelli, ghirigori e figure decorative di ogni sorta, rigorosamente scolpite nel bianco della pietra leccese. A ricolmare il fascino di questo lascito della maestosità della signoria orsiniana è la leggenda che l’avvolge. Secondo un antico racconto popolare la Guglia venne innalzata in una sola sera da quattro diavoli. Si narra che, in una notte tempestosa, un certo Matteo Tafuri di Soleto – noto per essere un mago e alchimista – evocò le presenze demoniache per dimostrare al mondo intero il suo potere magico.

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L’incantesimo prevedeva che i demoni, con l’aiuto di spiriti e streghe dell’altro mondo, terminassero la costruzione della torre entro la prima alba del giorno. E così fu: il canto del gallo rappresentò il segnale dell’inizio del nuovo mattino e tutte le creature infernali ritornarono agli inferi. Tuttavia, alcuni demoni furono incapaci di scappare in tempo e così rimasero pietrificati non appena i primi raggi di sole toccarono la cima della Guglia. Si dice che, oggi, fermandosi a osservare questa meravigliosa opera d’arte, se si è attenti, si possono riconoscere le entità infernali che aspettano solo di potersi liberare dell’incantesimo che li tiene prigionieri. A pochi passi dalla Guglia si trova proprio la casa natale del misterioso mago. Messer Tafuri fu, infatti, un importante filosofo e alchimista del Rinascimento che, nonostante le pesanti accuse di negromanzia e stregoneria, riuscì a sfuggire all’Inquisizione cinquecentesca. Fu un uomo di vasta cultura e con fame di conoscenza che lo portò a viaggiare in Italia e all’estero.

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Noto come il “Socrate di Soleto”, si stabilì nel comune meridionale nel 1550 dove si avviò alla carriera d’insegnante. La sua personalità brillante ma complessa, la sua passione per l’alchimia e l’occulto, e la sua cultura, gli fecero guadagnare la stima ma anche la diffidenza dei suoi concittadini.

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Maldicenze
e calunnie gli valsero la nomina di “stregone” alla quale lui seppe rispondere
con grande ironia e saggezza d’animo, facendo incidere sull’architrave della
sua dimora il motto “Humile so et humilta me basta. Dragon diventarò se alcun
me tasta”
. Oggi la casa natale del Tafuri è visitabile solo dall’esterno.

Infine, è doveroso fare un accenno alla famosissima Mappa di Soleto: la più antica cartina geografica dell’Occidente. Questo reperto storico, di inestimabile valore, è conservato nel Museo archeologico nazionale di Taranto (per chi abbia interesse nell’andarlo a visitare).

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L’oggetto
è considerato essere la più antica mappa del mondo classico da noi conosciuta e
a noi pervenuta. Fu scoperta nell’estate del 2003, a seguito di scavi
archeologici in un edificio messapico, dal team dell’archeologo belga Thierry
van Compernolle.
Si tratta di un frammento di vaso smaltato nero,
noto come ostrakon, risalente al V secolo a.C. Sul coccio è incisa la
linea costiera della penisola salentina e sono segnati i toponimi dei paesi in
lingua greca e indigena. Tra questi si riconoscono i nomi di Taranto (in greco)
e di Otranto, Nardò, Ugento, Leuca e non in ultimo Soleto (in messapico).
Mentre il Mar Ionio e il Mar Adriatico sono figurativamente rappresentati da
segni sigmatici. Evidenze tecniche dimostrano che l’ostrakon, giunto fino a noi
oggi, fa parte di una mappa ben più grande. Questa mappa antica testimonia
l’esistenza di relazioni tra le civiltà iapigie, messapiche e greche. 

Come
raggiungere Soleto?

Per raggiungere il piccolo comune di Soleto, in provincia di Lecce, si può partire da Bari imboccando l’autostrada A14 per poi proseguire lungo la statale 16 fino a Lecce. Seguendo poi la segnaletica per Galatina, e impostando il navigatore, Soleto disterà solo 4 km.

Martina
Patera