Carmelo Bene nasce il primo settembre 1937 a Campi Salentina in provincia di Lecce.
Dopo i primi studi presso un collegio di gesuiti, nel 1957 s’iscrive all’Accademia di Arte Drammatica dove non completa il triennio di studi. Viene infatti cacciato per indisciplina. Si scontra subito con l’idea tradizionale del teatro e della recitazione impostata dall’Accademia, infatti dirà di essersi ritirato perché la considera inutile dato che dentro di se aveva già tutto ciò che gli occorreva.

Il “Caligola” di Albert Camus, diretto da Alberto Ruggiero e andato in scena a Roma nel 1959, segna il suo debutto: pochi spettatori e alcuni critici illustri (Flaiano e Chiaromonte) lo battezzano come “enfant terrible” della cultura italiana. Bene è un autentico caposcuola del fenomeno culturale delle “cantine teatrali” romane.

L’anno dopo, invece esordisce con “Spettacolo Majakovskij”, un lavoro tutto in prima persona, accompagnato da musiche di Bussotti. Nei primi anni ’60 fonda a Roma il “Teatro Laboratorio” chepuò ospitare soltanto 26 posti. E’ però a partire da questo momento che Bene diventa regista di se stesso, iniziando l’opera di manipolazione e di straniamento di alcuni classici immortali: mettendo in scena le “variazioni” del “Pinocchio” di Collodi (1961), dello shakespeariano “Amleto” (1961), di “Edoardo II” da Marlowe (1963), “Salomè” da Oscar Wilde (1964), “Manon” da Prévost (1964), “Amleto” da Shakespeare-Laforgue (1967).

Al 1963 risale il famoso episodio accaduto nel Teatro Laboratorio: un attore orina su uno spettatore. Anche se in realtà si tratta del gesto di protesta di un suo compagno argentino che ha riconosciuto in platea l’ambasciatore del suo paese, da allora le biografie di Bene attribuiranno a lui la performance.

Nel ’65 scrive “Nostra Signora dei Turchi”, edito dalla Sugar. La sua produzione risente della scoperta di Antonin Artaud e del suo “Teatro della crudelta”. Seguendo la sua estetica (teatro antiborghese, antinarrativo, antipsicologico) scrive anche “Il monaco”. Comincia anche il lungo sodalizio artistico-sentimentale con l’attrice Lydia Mancinelli. L’anno dopo il romanzo viene messo in scena al “Teatro Beat ’62”. Di esso verrà fatta nel ’68 una trasposizione cinematografica, con la regia dello stesso Bene, che si aggiudicherà il premio speciale della giuria alla rassegna di Venezia.

Tra le sue esperienze cinematografiche di quel periodo, si annoverano la partecipazione nel ruolo di Creonte all’ “Edipo Re” di Pasolini (1965) e 6 lungometraggi come regista, tra cui “Capricci” (1969), “Don Giovanni” (1970) e “L’occhio mancante“, tratto da un libro edito da Feltrinelli.
Mentre i cortei degli studenti e degli operai in lotta inneggiano alla “fantasia al potere”, fra il 1968 e il 1974 Carmelo (molti lo chiamano già senza il cognome) esce definitivamente dalle “cantine” e raggiunge i grandi teatri con “Don Chisciotte” insieme a Leo De Berardinis, “La cena delle beffe” insieme a Gigi Proietti, e “S.A.D.E.” in mezzo a molte belle ragazze nude.

Risalgono a quel periodo di contestazione e di lotta le sue parole: “Non si parla con il potere, non si deve mai parlare con il potere, il potere non merita l’attenzione, tantomeno l’attenzione giovanile. Non si parla con Andreotti, ma non si parla nemmeno con Berlinguer, non si parla davvero con nessuno…”. Assai più tardi avrebbe continuato a ribadire: “c’è qualcuno che riesce a vedermi come cittadino che pensa alla politica? Già la vita non ha soluzioni, aspettarsele poi dalla politica…”.

Da molte di queste opere verrà prodotta anche qualche versione per la TV: sono però spettacoli nei quali resta generalmente poco del testo originale, annegato in un mare di musica. Sono infatti dei “meta-spettacoli”, rutilanti caleidoscopi di scene e costumi (come la foresta di bicchieri giganti di “Romeo e Giulietta”), di citazioni letterarie (soprattutto Laforgue) e di figuranti che lasciano spazio solo alla voce del protagonista-demiurgo, che diventa un virtuoso dell’amplificazione del play back.
Nasce proprio allora la leggenda di un Bene tiranno dei suoi compagni di scena e soprattutto delle sue partner.
La Mancinelli si allontana da lui.

Con “Salomè” (1972) e “Un Amleto in meno” (1973) si chiude la sua esperienza cinematografica, ripresa solo nel 1979 con l’ “Otello”, girato per la televisione e montato solo in tempi recenti.

Negli anni Ottanta Carmelo è oramai un mito e per i francesi anche un guru intellettuale, santificato dal filosofo Gilles Deleuze. I suoi spettacoli si concentrano sulla sua persona, e sono sempre più a rischio di rinvii, di capricci contrattuali e intemperanze umorali dell’attore: fra questi il “Manfred” (il poema di Byron con orchestra dal vivo, basato sull’omonimo poema sinfonico di Schumann) che però ottiene un grande successo di critica e di publico.

In tutte le sue molteplici attività (letteraria, quella teatrale, televisiva, cinematografica, radiofonica) eccelle. Attraverso di lui, principe dell’assenza, macchina attoriale, attore “postumo” d’una grandezza arcaica (“invidio chi potrà ascoltarmi”) si poterono amare intensamente i poeti russi (come dimenticare l’irripetibile realizzazione televisiva, del ’74, Quattro diversi modi di morire in versi: Majakovskij-Blok-Esenin-Pasternak?); poi Lautréamont, fino ad Artaud (che “se fosse vissuto un po’ di più, avrebbe ravvisato in Francis Bacon il pittore primultimo che finalmente – operando – frusta, eccome!, l’idiozia scorreggiona del dipingere”), Laforgue, Hello, Léon Bloy, Campana e, in ambito musicale, Sibelius, Cajkovskij, Gounod, Mahler e Schumann…

Nel 1981 sale in cima alla Torre degli Asinelli, a Bologna. Da lassù, di fronte ad una folla attonita e sbalordita -in un fluire imponente capace d’assorbire in sé ogni sensorialità, come scrisse Giacchè,- realizza un capolavoro mai prima immaginabile: la “Lectura Dantis”.

Intanto i 4 by-pass impiantatigli preoccupano i suoi fan, mentre lui litiga energicamente con i critici e con la moglie Raffaella Baracchi (ex Miss Italia).

Comincia adesso l’era dei remake (“Amleto”, “Macbeth”), delle autocitazioni (“Pinocchio”, “Nostra signora dei turchi”), e dei recital con amplificazioni da concerto rock su testi di Dante, Leopardi, Campana, D’Annunzio.
Seguono l'”Adelchi” (1984), “Hommelette for Hamlet” (1987), “Lorenzaccio” (1989) e “L’Achilleide N. 1 e N. 2” (1989-1990).

Dal 1990 al 1994 Carmelo si ritira momentaneamente dalle scene per disoccuparsi di sé, come dirà lui stesso.

Nel 1995 torna sotto i riflettori in libreria con la sua opera “omnia”, apparsa nella collana dei Classici Bompiani, cui segue nel 2000 il poemetto “‘l mal de’ fiori”.

Carmelo Bene muore nella sua casa romana a 64 anni il 16 marzo del 2002.

 

di Costantino Piemontese