Nacque a Maglie (Lecce) il 23 settembre 1916 da Renato e da Fida Sticchi, secondogenito di altri tre fratelli: Alberto e Alfredo Carlo, magistrati, Salvatore, funzionario, e di una sorella, Maria Rosaria, professoressa. Crebbe in una famiglia della piccola borghesia pugliese con un forte senso laico dello Stato e rilevante fu, per la sua formazione, la frequentazione del Circolo giovanile cattolico S. Francesco d’Assisi, insieme al fratello maggiore Alberto, presso il convento di San Pasquale dei frati minori che come ebbe modo di scrivere lui stesso lo aveva guidato nei primi passi della sua vita spirituale sempre pervasa da tratti di riflessività interiore.

Dopo aver conseguito la maturità classica, presso il liceo Archita di Taranto, il successivo trasferimento della famiglia a Bari lo portò a frequentare nel capoluogo pugliese la Facoltà di Giurisprudenza.  Iniziò a frequentare il circolo della Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI), di cui divenne presidente dal 1939 al 1943. Più tardi coprì il ruolo di presidente del Movimento laureati cattolici (1945-46); direttore della rivista Studium, fu uno dei fondatori della Democrazia cristiana, che rappresentò alla Costituente: il giovane Aldo Moro, infatti, fece parte della commissione dei 75 padri della nostra Costituzione. Insegnò Diritto penale (1948-64) a Bari nella stessa Università che lo aveva visto studente e dal 1964 nell’Università di Roma insegnò Istituzioni di diritto e procedura penale. La sua carriera politica lo vide ricoprire gli incarichi più prestigiosi:  Sottosegretario agli Esteri nel quinto governo De Gasperi (1948-49), presidente del gruppo parlamentare della DC (1953-55), ministro di Grazia e Giustizia nel governo Segni (luglio 1955-maggio 1957), della Pubblica istruzione nei governi Zoli e Fanfani (maggio 1957-febbr. 1959). Nel febbraio 1959 Aldo Moro fu eletto segretario della DC e guidò il partito attraverso la complessa crisi del centrismo all’apertura ai socialisti e al varo del centrosinistra, sulla prospettiva, evidenziata nel Congresso democristiano di Napoli del 1962, dell’allargamento della maggioranza per un radicale rinnovamento delle condizioni di vita sociali, economiche e politiche della società italiana. Presidente del Consiglio dal dicembre 1963 al giugno 1968, Moro fu a capo di tre successivi governi e per diversi anni ricoprì prevalentemente la carica di ministro degli Esteri in vari governi (ag. 1969-luglio 1972, luglio 1973-nov. 1974). Di nuovo presidente del Consiglio (nov. 1974-luglio 1976) riprese la linea definita fin dal 1969 come «strategia dell’attenzione» verso il Partito comunista, allora attestato sulla prospettiva del «compromesso storico» e presente in modo crescente nella vita politica e civile nazionale. Come presidente del Consiglio nazionale della DC (dall’ott. 1976) accentuò il ruolo di mediazione nella vita politica italiana durante l’esperienza del governo di solidarietà nazionale detto «della non sfiducia» (luglio 1976-marzo 1978). Il 16 marzo 1978, giorno del varo del quarto governo Andreotti, che chiudeva una lunga crisi politica con l’ingresso del PCI nella maggioranza, Moro fu rapito a Roma. Via Fani fu teatro della strage, ad opera di un commando delle brigate rosse che uccise barbaramente gli uomini della scorta del presidente: Raffaele Iozzino, Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Giulio Rivera, Francesco Zizzi. Non tardò la richiesta di riscatto il rilascio del presidente in cambio di quello di brigatisti prigionieri e di un riconoscimento politico. Non servirono gli appelli alla clemenza tra cui quelli di Papa Paolo VI e del segretario dell’Onu, la stampa come il mondo politico si divise in fautori e avversari della trattativa, prevalse la linea della fermezza e nulla fu l’azione delle forze di polizia.  Il 9 maggio 1978 nel portabagagli di una Renault 5 rossa, situata in via Caetani, fu fatto ritrovare il corpo senza vita dell’onorevole Aldo Moro. Dei 55 giorni di prigionia restano le lettere, umanissime, scritte ai suoi familiari e a colleghi di partito  ((Lettere dalla prigionia, Torino 2009 edizioni di Miguel Gotor) e gli scritti, ritrovati poi in un covo delle BR a Milano e pubblicati nel 1991 che fanno parte del suo memoriale, la raccolta di appunti che risalgono al processo che gli intentarono i brigatisti  raccolti ne Il memoriale di Aldo Moro rinvenuto in via Monte Nevoso a Milano, Roma 1993) nell’edizione curata da Francesco Maria Biscione.

Con la scomparsa di Aldo Moro la DC perse non solo il suo presidente ma l’uomo più autorevole che dopo De Gasperi, era stato capace di guidare il suo partito sull’onda dell’evoluzione del sistema politico italiano, perseguendo obiettivi di stabilità e progresso. Sandro Pertini lo definì  “un politico dal forte ingegno e dalla vasta cultura” e la modernità del suo pensiero, le sue lezioni di diritto, i discorsi politici restano insegnamenti di grande utilità e attualità, in particolare oggi per il nostro Paese che vive una profonda crisi economica, sociale e politica. Il prossimo 9 maggio saranno trascorsi trentacinque anni dalla scomparsa dell’onorevole Aldo Moro. Ci piace ricordarlo andando a rileggere alcune sue considerazioni, come quelle scritte il 10 marzo 1945, all’indomani della fine del conflitto, che aveva messo in ginocchio il nostro Paese, nella relazione “Ricostruire lo Stato in Pensiero e Vita”: “Le leggi, gli atti di amministrazione, il rendere giustizia, il gioco dell’autorità e della forza, sono, infatti, piccola cosa, se non sorretti dal “consenso”. Corpo senz’anima è lo “Stato (il quale in tal caso veramente non esiste) se manca il “senso” sociale, il libero e cosciente organizzarsi delle persone in vista di fini e di ideali comuni”.